Sedici artisti di giovane generazione che vivono a Londra, forse il centro urbano più popoloso e multiculturale del Vecchio Continente, sono stati chiamati a rappresentare l’arte contemporanea nell’era che segue la rivoluzione tecnologica, il libero mercato e i maestri del passato.

Preceduti temporalmente dall’onda dei Young British Artists, con Damien Hirst, Sarah Lucas, i Chapman Brothers; e prima ancora dal pop inglese di David Hockney, Pauline Boty, Allen Jones, che fronteggiava i corrispettivi newyorkesi; e dal concettuale di Josef Beuys a Dusseldorf e Carl Andre a New York e Mario Merz a Torino e in Gran Bretagna Richard Long che pure non perdeva d’occhio i paesaggi di John Constable e Gilbert&George aspiranti coetanei di William Blake. Un ambiente culturale dall’apparenza quasi reazionaria, quello londinese di fine secolo, per aderenza storica e qualche conformismo, ma intimamente sovversivo, bene descritto dal curatore Norman Rosenthal. Sedici artisti di giovane generazione che vivono a Londra preceduti da quella mostra, Sensation, con la quale lo stesso Rosenthal nel 1997 aiutava a deflagrare nel mercato globale dell’arte i Young British Artists con tutto il carico di speranze, promesse e angosce di quella generazione.

La generazione di adesso, la generazione dei trent’anni di media, porta anche il carico di un’altra storia, quella dell’irruzione del libero mercato nel finire del secolo scorso, in una capitale che negli ultimi decenni ha attraversato tutte le prescritte fasi di competizione, privatizzazione, monetizzazione e ora fronteggia gli esiti di recessione e austerità, precarietà, povertà. Il contesto di chi fa arte a Londra oggi è attraversato da uno stato ansioso, nota il curatore Harry Woodlock, citando opportunamente Michel Foucault (e Karl Marx). Il legame con i propri simili è dai primordi sociale, data la nostra vulnerabilità costitutiva, il conflitto con il legame economico innesca una dissociazione, una disconnessione. Amplificata forse dalla rivoluzione tecnologica della comunicazione continua e globale. Gli artisti guardano ai comportamenti umani, indagandone limiti e priorità, alle relazioni delle persone con i propri simili, con la natura e con i manufatti nel mondo che abitano, e alle modalità di connessione e disconnessione da essi.

A Londra, ricorda ancora Norman Rosenthal, vivono oggi persone di circa 250 etnie, che parlano almeno 300 lingue diverse, è probabilmente la maggiore metropoli dell’Europa geografica. Ma ovunque, sempre Rosenthal, «a Londra e a Venezia, nel Regno unito e in tutta Europa, sembriamo vivere in uno stato che vira quasi schizofrenicamente tra la felice sensazione di indipendenza individuale, e talvolta nazionale, con cui ci avviciniamo sempre più gli uni agli altri sotto ogni punto di vista, in particolare quello tecnologico e della comunicazione, e il pessimismo che suggerisce che stiamo arrivando alla fine del mondo per come lo conosciamo». Quello che abbiamo è una generazione che cresce in una metropoli oggi capace di celebrare le diversità, che si esprime apertamente, con onestà, e con l’arguzia e l’ironia che in qualche modo contraddistinguono il linguaggio londinese, ma sottoposta a uno stress forse inedito: «I tempi che ogni generazione occupa e vive sono quasi sempre difficili, persino più difficili di quelli della generazione precedente».

Che siano dipinti, sculture, installazioni, video o performance, la cifra comune del lavoro degli artisti di Breathless/Senza RespiroCon il supporto di The British Council – è il legame tra la persona e il suo contesto quotidiano, le tecnologie di sorveglianza, il solipsismo, le vulnerabilità e le alienazioni, le possibilità e gli inganni di capitalismo e massificazione, le prospettive dell’organizzazione politica. Con il grande tema globale del cambiamento climatico che sottende ogni indagine sulla relazione fra la vulnerabilità umana e il suo posto nel mondo. Mentre globalmente muta anche il mercato, che se prima seguiva focolai culturali urbani, tra Parigi e New York, e l’arte era materia quasi esoterica, ora è dominante, liquido e diffuso e l’identità anche culturale e artistica è diventata concetto poco definibile. La natura è controparte dell’industria, della macchina, del corpo umano. La competizione genera individualismo, la stessa sopravvivenza diventa merce di scambio. La dissociazione, l’essere disconnessi, è parte della rovina e garanzia di salvezza.

Nel lavoro di Alice Channer il deteriorarsi della relazione fra umanità e ambiente è centrale, le forme simil-organiche di Nicholas Deshayes ci ricordano che spesso la natura di umano ha molto poco. La mascolinità compressa dei giubbotti sportivi sottovetro di Prem Sahib, le immagini dipinte da Celia Hempton con le telecamere di sorveglianza on line da ogni angolo di mondo, la cassa con cui parlare al telefono con l’artista che mentre vive altrove si collega e risponde, di Lydia Ourahmane: diverse opere parlano dell’essere estranei e presenti, vicini e lontani, assenti e contigui. Le persone attraversano ambienti domestici e usano manufatti e con questi costruiscono relazioni che possono a loro volta generare ansia e alienazione, funzionali alla competizione, diventata il principale legame nella società britannica, in conflitto con i legami sociali. Perdita e desiderio sono temi centrali nei dipinti di Issy Wood e nelle opere di Eddie Peake, come lo sono spirito di comunità e vita in comune per le sedie di Andrea Hamilton e gli skateboard di Larry Achiampong.

La Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro ha presentato nel 2017 la personale di David Hockney, mentre a Palazzo Grassi e Punta della Dogana esponeva Damien Hirst. Allora è nata l’intenzione di rifare il punto sull’arte contemporanea a Londra, a vent’anni da Sensation. Il ruolo di Ca’ Pesaro è storicamente la conservazione del presente, che in questi decenni si è fatto frenetico. Le Guerre Mondiali, il dopoguerra, la rivoluzione sessuale, la Guerra Fredda e la caduta del Muro di Berlino, il liberismo, la rivoluzione tecnologica delle comunicazioni, i profondi cambiamenti nel mercato, compreso il mercato dell’arte, e nella fruizione dei contenuti culturali. Con Breathless/Senza Respiro Ca’ Pesaro si conferma punto di riferimento della Fondazione Musei Civici di Venezia per il contemporaneo.

In mostra si trova la rappresentazione di «uno stato precario e senza respiro, in senso positivo come il restare senza fiato per lo stupore del mondo e negativo come il non avere più energie né verbo» sintetizza Gabriella Belli, direttore della Fondazione. «Londra è una città cannibale, pulp, estesissima, carissima, estenuante, ma ha comunque rappresentato per molte generazioni europee la capitale di riferimento per il suo essere aperta, multietnica, innovativa e a tratti rivoluzionaria», per la responsabile di Ca’ Pesaro Elisabetta Barisoni «non è possibile sapere adesso se Breathless/Senza Respiro risponda alle domande emerse quando la mostra è stata ideata, ma lo scenario è di indubbio interesse». Cinque fra opere site specific e performance sono state appositamente commissionate e create per l’esposizione, che comprende oltre 40 lavori.

C.S.
Fonte: Muve press

BREATHLESS / SENZA RESPIRO
19 ottobre 2019- 1 marzo 2020

Ca’ Pesaro – Galleria Internazionale D’Arte Moderna
Santa Croce 2076
30135 Venezia
Tel. +39 041 721127

Informazioni e prenotazioni:
848082000 (dall’Italia) +3904142730892 (dall’estero)

capesaro.visitmuve.it