Il celeberrimo ciclo di dipinti del Camerino d’Ercole, capolavori tra i più alti di Sebastiano Ricci, viene posto in dialogo con i grandi del Settecento che di Ricci furono veri e propri rivali, o che dalla sua opera furono influenzati. “Sebastiano Ricci. Rivali ed Eredi. Opere del Settecento della Fondazione Cariverona” viene proposta a Belluno, in Palazzo Fulcis, dai Musei Civici della città e dalla Fondazione Cariverona, dalle cui ricchissime Collezioni d’arte provengono le opere messe a confronto con il ciclo di Ricci. La mostra, curata da Denis Ton, conservatore dei Musei Civici di Belluno, si potrà ammirare al terzo piano della nobile dimora, capolavoro del ‘700 a Belluno, dal 6 aprile al 22 settembre 2019.

Sebastiano Ricci, che operò a Palazzo Fulcis e fu autore delle tre tele per il Camerino d’Ercole, è il nume tutelare della prestigiosa sede. I dipinti con la “Caduta di Fetonte”, “Ercole al bivio” ed “Ercole ed Onfale” rappresentano tra i più grandi capolavori dell’arte europea del Settecento e appartengono alla memoria visiva di gran parte degli studiosi e curatori d’arte antica a livello internazionale. La mostra offre una panoramica efficace delle premesse, delle relazioni e dell’influenza svolta da Sebastiano Ricci, nella grande pittura di storia e religiosa, e del nipote Marco Ricci, nel paesaggio. I due campioni dell’arte bellunese del Settecento, hanno infatti svolto un ruolo chiave non solo in Veneto e in Italia, ma in una dimensione europea, attestata anche dal cosmopolitismo dei loro committenti e dai loro numerosi viaggi.

Nelle cinque sezioni, viene a dipanarsi un affascinante percorso, in senso spaziale e ideale, mettendo insieme opere di maestri che furono dei veri e propri rivali del maestro, o che dalla sua opera ne furono direttamente influenzati, sia per la natura del suo linguaggio sia per esserne stati allievi. Scegliendo le opere tra quelle realizzate negli anni di attività dei due maestri, viene dunque naturale identificare nelle tele di Andrea Celesti, Antonio Bellucci, Giovan Gioseffo Dal Sole, quegli elementi che costituirono le premesse su cui venne a costruirsi, tra libertà materica, accademismo di fine Seicento e cultura emiliana, il complesso retroterra culturale da cui prese le mosse la grande operazione condotta da Sebastiano, anticipa il curatore Denis Ton.
La presenza di opere importanti di Jacopo Amigoni e soprattutto di Antonio Pellegrini consente di ricostruire un incontro fra le diverse tendenze operose al principio del Settecento. Ricci, Pellegrini e Amigoni sono da sempre, in particolare grazie alle ricostruzioni storiografiche di Rodolfo Pallucchini, riconosciuti come i protagonisti della trasformazione dell’arte veneziana ed europea, e talvolta furono diretti rivali non solo a Venezia, ma anche in Inghilterra.

Egualmente la presenza di artisti come Francesco Fontebasso e Nicola Grassi, permette di allargare lo sguardo all’influenza esercitata da Ricci nei confronti di suoi allievi (il primo) o altri maestri coevi. Solo episodicamente Sebastiano fu attivo in un genere un tema come quello delle così dette ‘Teste di carattere’, figure ritratte al naturale e variamente interpretate da artisti grandemente ricercati dal mercato settecentesco quali Francesco Nogari e, con ancora più successo internazionale, Pietro Rotari. Il primo, in particolare, fece tesoro della grande lezione di libertà pittorica promossa dal pittore bellunese.
L’influenza del nipote Marco Ricci non fu minore, per quanto riguarda la storia del paesaggio, talvolta operando in collaborazione con Sebastiano. Convocare l’importante paesaggio di Peruzzini e Magnasco, e le opere di Giuseppe Diziani e Antonio Zais significa rappresentare una parte significativa di questa storia e la particolare predisposizione di questo genere nell’arte del territorio.

A Palazzo Fulcis giunge un prestito di rilievo particolare: l’affascinante tela di Gian Antonio Pellegrini popolarmente conosciuta come il “Ritratto di Milady”, musealmente classificato invece come “Ritratto di signora in un giardino con ancelle al pozzo”. È un’opera straordinaria per qualità della pittura e per l’atmosfera tipicamente inglese che trasmette. La grande tela si è vista davvero raramente. Molto nota agli esperti, da tempo non è più visibile al pubblico.
Per questa mostra bellunese, Fondazione Cariverona ha deciso di concederla, dopo che il capolavoro del Pellegrini è stato sottoposto a restauro. In Palazzo Fulcis, per la prima volta il pubblico potrà ammirare il dipinto in tutta la sua ritrovata magnificenza.
Il restauro, condotto dal laboratorio fiorentino di Debora Minotti ha ridato alla celebre Milady l’incarnato roseo che le apparteneva e ha riportato l’intero dipinto alle tonalità delicate originali.
Nel corso dell’intervento, si è inoltre scoperta la presenza di una sagomatura semicircolare nella parte inferiore, al centro: circostanza che conferma come, ad un certo punto della sua storia, il dipinto sia stato utilizzato a mo’ di sovrapporta in posizione rialzata. Il mistero intorno alla nobile dama protagonista del dipinto resta fitto. Non c’è infatti ancora alcuna certezza su chi sia la Milady rappresentata da Antonio Pellegrini, nel suo eccezionale ritratto, riconducibile al secondo periodo inglese del Maestro, intorno al 1719. Certamente una donna che cercò di farsi rappresentare come una dea agreste, in un grande dipinto di formato orizzontale dal taglio ‘eroico’ e monumentale benché realizzato con una pittura impalpabile e di grande leggerezza, afferma Denis Ton.
Accompagnata dal fido cane e dalle ancelle che versano acqua da una brocca (probabile allusione alle sue virtù di fedeltà e castità), la donna è raffigurata adagiata in mezzo a un paesaggio boscoso che si intravede in lontananza. Pur conservando l’indeterminatezza propria dei ritratti pellegriniani, si nota – sottolinea di curatore – una maggiore caratterizzazione nel volto della donna rappresentata. Mentre le comparse e così il paesaggio sono concepiti con una lievità quasi impalpabile tipica dell’arte del maestro, creando effetti quasi di sfocatura, il personaggio principale si impone con forza. La gentildonna qui rappresentata non è estranea a una certa aria matronale, subito addolcita dai tratti del volto idealizzati, nella stesura dei quali Pellegrini, come confermato dall’intervento di restauro, pare impiegare una tecnica assai differente, molto più accurata, ricercando effetti più simili al pastello che alla pittura ad olio, avvicinandosi a modelli della ritrattistica dell’affezionata cognata, la grande Rosalba Carriera. La concezione del dipinto suggerisce una finalità decorativa prima ancora che di documentazione ritrattistica, confermando come Pellegrini fosse considerato come un maestro capace di proiettare le sue figure, anche quando tratte dalla vita contemporanea, in una dimensione senza tempo.
La mostra è anche occasione per scoprire o riscoprire il magnifico contenitore che la accoglie, Palazzo Fulcis e le collezioni museali che in esso sono esposte dal 2017, anno in cui il prezioso edificio, integralmente restaurato, venne concesso in comodato dalla Fondazione Cariverona, che ne è proprietaria, al Comune di Belluno per accogliervi le collezioni storico artistiche della città.

C.S.

SEBASTIANO RICCI. Rivali ed Eredi
06 aprile 2019 – 22 settembre 2019

Musei Civici di Belluno – Palazzo Fulcis
Via Roma 28, 32100 Belluno
Tel. 0437-956305
museo@comune.belluno.it
prenotazionimuseo@comune.belluno.it

https://mubel.comune.belluno.it/Musei/Palazzo-Fulcis

Fonte: Studio Esseci